Invalidità e Diritti | Disabilità e Caregiver

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Da Ape sociale a pensione di vecchiaia, cosa cambia?
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Da Ape sociale a pensione di vecchiaia, cosa cambia?

Cosa cambia economicamente nel passaggio dall'Ape sociale alla pensione di vecchiaia. Ti spiego anche se questo trattamento è conveniente e quando è meglio utilizzare altri strumenti previdenziali.

Luciano Trapanese
giu 11, 2025
∙ A pagamento
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Avvicinarsi alla pensione, in Italia, è un po’ come entrare in un labirinto di norme, sigle e scadenze che cambiano (quasi) a ogni legge di bilancio.

Tra le uscite di sicurezza più gettonate c’è l’Ape sociale, quel ponte economico pagato dallo Stato che permette a disoccupati, caregiver, invalidi e a chi svolge lavori gravosi di lasciare il lavoro prima dei canonici 67 anni.

Ma che succede quando il ponte finisce e si approda alla pensione di vecchiaia? E, soprattutto, conviene davvero imboccare subito la scorciatoia dell’Ape sociale o è meglio tenere duro qualche anno in più?

In queste pagine sciogliamo proprio questi nodi. Dopo aver chiarito in parole semplici cos’è l’Ape sociale e chi può chiederla, ci concentriamo su ciò che cambia—nel portafoglio e nei diritti—una volta scattata la pensione di vecchiaia: dalle mensilità aggiuntive al ricalcolo dell’assegno, fino alla libertà di tornare a lavorare senza limiti.

Infine entriamo nel vivo del dilemma “conviene o non conviene?”, con esempi pratici che mostrano quando l’Ape sociale si rivela un salvagente imprescindibile e quando, invece, rischia di essere un anticipo troppo costoso in termini di contributi mancati.

Un vademecum ragionato per scegliere con cognizione di causa la rotta più adatta al proprio finale di carriera.

Ecco cosa troverai in questo contenuto.

I. Introduzione – la bussola per orientarsi fra Ape sociale e pensione di vecchiaia
II. Cos’è l’Ape sociale – natura giuridica, finalità, cornice normativa
III. Requisiti e destinatari – età, contributi, profili tutelati, iter di domanda
IV. Lavoro durante l’Ape sociale – divieti, eccezioni e incumulabilità dei redditi
V. Come si calcola l’assegno – montante contributivo, tetto dei 1.500 €, tassazione
VI. Dal ponte alla meta – cosa cambia passando all’assegno di vecchiaia (mensilità, coefficienti, cumulo lavoro)
VII. Quando conviene – scenari di utilità concreta con esempi numerici
VIII. Quando non conviene – costi opportunità, contributi mancati e alternative più vantaggiose
IX. Riferimenti normativi e di prassi – leggi, circolari INPS, messaggi operativi

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Cos’è l’Ape sociale?

L’APE sociale (anticipo pensionistico “sociale”) è un’indennità a carico dello Stato, erogata dall’INPS, che accompagna determinati lavoratori verso la pensione di vecchiaia.

Non si tratta di una vera pensione, ma di un assegno “ponte” mensile destinato a categorie considerate meritevoli di tutela (disoccupati, caregiver, invalidi, addetti a mansioni gravose) che abbiano almeno una certa età e anzianità contributiva.

L’APE sociale è stata introdotta in via sperimentale dalla legge di bilancio 2017 (art. 1, commi 179-186, legge n. 232/2016) e, tramite successive proroghe, la sua validità è stata estesa fino al 31 dicembre 2025 (da ultimo con la legge di bilancio 2025, art. 1 commi 175-176, legge n. 207/2024).

Chi ottiene l’APE sociale riceve un assegno mensile pagato dallo Stato fino a quando maturerà i requisiti per la pensione di vecchiaia (o conseguirà un’altra pensione anticipata), momento in cui l’APE cessa.

Importante: l’APE sociale è riservata a chi non sia già titolare di una pensione diretta, né in Italia né all’estero.

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Requisiti e a chi spetta l’Ape sociale?

L’APE sociale spetta ai lavoratori iscritti all’assicurazione generale obbligatoria (dipendenti privati e pubblici, gestioni speciali autonomi, gestione separata), con esclusione dei liberi professionisti delle casse professionali, residenti in Italia, che possiedano i seguenti requisiti al momento della domanda di accesso: almeno 63 anni e 5 mesi di età; almeno 30 anni di contributi (36 anni se lavoratori gravosi, ridotti a 32 per operai edili, ceramisti e alcune categorie affini); e nessuna pensione diretta già in corso.

È prevista inoltre una riduzione del requisito contributivo per le donne: 12 mesi in meno per ciascun figlio, fino a un massimo di 2 anni (quindi ad esempio 28 anni invece di 30)inps.it. Oltre a questi requisiti generali, il richiedente deve rientrare in uno dei quattro profili di tutela previsti dalla legge:

  • Disoccupati: lavoratori che hanno perso involontariamente il lavoro (licenziamento, anche collettivo; dimissioni per giusta causa; risoluzione consensuale nell’ambito di conciliazione obbligatoria ex art. 7, L.604/1966) oppure per scadenza di un contratto a termine (purché abbiano lavorato come dipendenti almeno 18 mesi negli ultimi 36).

    Devono aver terminato integralmente la NASpI (indennità di disoccupazione) spettante e avere almeno 30 anni di contributi. (Nota: dal 2022 è stato eliminato l’obbligo di attendere tre mesi dopo la fine della NASpI prima di chiedere l’APE).

  • Caregiver: lavoratori con almeno 30 anni di contributi che, al momento della domanda, assistono da almeno 6 mesi un familiare convivente in condizione di handicap grave (legge 104/1992 art.3 comma 3).

  • Rientrano sia i caregiver di primo grado (coniuge, partner unito civilmente, genitore o figlio) sia, dal 2018, quelli di secondo grado (es. nonni, zii, fratelli) conviventi, qualora i parenti di primo grado del disabile abbiano almeno 70 anni, siano anch’essi invalidi o siano deceduti/mancanti. Anche per i caregiver sono richiesti almeno 30 anni di contributi.

  • Invalidi civili: lavoratori con una invalidità civile certificata pari o superiore al 74% e almeno 30 anni di contributi.

  • Addetti a lavori gravosi: lavoratori dipendenti che hanno svolto per almeno 6 anni negli ultimi 7 (o 7 anni negli ultimi 10) un’attività faticosa e pesante inclusa nell’elenco ufficiale dei lavori “gravosi” (elenco aggiornato nell’Allegato 3 della legge 234/2021).

    Esempi di queste professioni sono gli operai dell’industria estrattiva, dell’edilizia e della manutenzione stradale, i conduttori di macchinari industriali, gli addetti alle pulizie, gli infermieri e ostetriche turnisti, gli insegnanti della scuola dell’infanzia, i facchini, gli autisti di mezzi pesanti e altre mansioni usuranti e di fatica. Per questi lavoratori è richiesto un minimo di 36 anni di contributi, salvo alcune categorie (operai edili, ceramisti e affini) per cui dal 2022 il requisito è ridotto a 32 anni. Anche qui vale lo “sconto” contributivo per le donne con figli.

In tutti i casi, per poter iniziare a percepire l’APE sociale è necessario cessare qualsiasi attività lavorativa in corso.

Inoltre l’accesso all’APE sociale è subordinato all’esito positivo di una domanda di certificazione dei requisiti: l’INPS deve verificare che il richiedente rientri effettivamente in uno dei profili sopra descritti e che possieda età e contributi richiesti.

Le domande di certificazione vanno presentate entro scadenze prefissate ogni anno (ad esempio 31 marzo, 15 luglio e ultima finestra 30 novembre per le domande tardive, secondo le istruzioni INPS).

Ottenuta la certificazione, l’interessato potrà presentare la domanda di accesso al beneficio vero e proprio. L’APE sociale decorre dal primo giorno del mese successivo alla domanda di pensione APE (sempre che tutti i requisiti siano già maturati). L’assegno verrà poi erogato mensilmente fino a quando il beneficiario raggiungerà la pensione di vecchiaia o un’altra forma di pensione anticipata.

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