Puoi rifiutare di lavorare senza un accomodamento ragionevole
In questo post analizzo una importante sentenza della Cassazione che può avere ricadute positive per le persone con disabilità sul lavoro.
Una sentenza della Corte di Cassazione ha chiarito un aspetto fondamentale per i lavoratori con invalidità: in presenza di una disabilità grave, il dipendente può legittimamente rifiutare di riprendere servizio se il datore di lavoro non adotta gli accomodamenti ragionevoli previsti dalle normative nazionali e internazionali (D. Lgs. 216/2003, direttiva 2000/78/CE, Convenzione ONU).
La mancata predisposizione di queste misure può essere considerato un atto discriminatorio. Di conseguenza il licenziamento basato sull’assenza o sul rifiuto del dipendente perde validità.
Questa pronuncia, quindi, evidenzia come sia importante valutare in modo concreto le necessità del lavoratore con disabilità. La sua tutela è prevista dall’ordinamento e comporta l’obbligo per l’azienda di adeguare la prestazione lavorativa alle esigenze di salute. Sono da evitare le soluzioni che potrebbero porre il dipendente in condizione di svantaggio.
In questo articolo ti spiego come è nata e si è evoluta la vicenda giudiziaria che ha portato alla decisione della Cassazione. E quali sono le possibile conseguenze pratiche dell’ordinanza.
L’argomento potrebbe interessare la generalità dei lavoratori con disabilità e aiutare a far rispettare diritti troppo spesso negati.
Ecco cosa troverai in questo contenuto:
La sentenza di appello: conferma del licenziamento e motivazioni principali
Un’introduzione al giudizio in appello e alle ragioni per cui la corte di appello di Bologna ha ritenuto il licenziamento valido. L’assenza prolungata e non giustificata, secondo i giudici di merito, risulta centrale nella decisione.Il lavoratore disabile e le richieste di trasferimento
La condizione di disabilità del dipendente, le sue domande di trasferimento e la disponibilità al demansionamento. Perché la corte di appello non ha ritenuto sufficiente il solo fatto di aver chiesto di cambiare sede.Dal giudizio in appello al ricorso per cassazione
La reazione del lavoratore alla conferma del licenziamento in appello: i sei motivi sollevati in cassazione e le ragioni con cui l’azienda si è difesa.Le censure contro la sentenza di appello
Omissione di pronuncia riguardo al diritto di trasferimento.
Omesso esame di un fatto decisivo sulla richiesta di nuova sede.
Violazione dell’art. 1460 c.c. per mancata valutazione degli inadempimenti aziendali.
Omesso esame delle difficoltà legate alla pandemia e alle precarie condizioni di salute.
Violazione delle norme speciali a tutela della disabilità (D.Lgs. 216/2003, direttiva UE, Convenzione ONU, L. 104/92).
Omesso esame delle presunte carenze di tutela da parte dell’azienda.
I punti accolti dalla Cassazione: mancati accomodamenti e obblighi del datore di lavoro
Il terzo e il quinto motivo vengono ritenuti fondati. La corte di appello, secondo la Cassazione, avrebbe dovuto analizzare se l’azienda avesse omesso quegli adattamenti organizzativi indispensabili per un lavoratore disabile.Obbligo di adottare accomodamenti ragionevoli e divieto di discriminazione
Come le norme (art. 3, comma 3 bis, D.Lgs. 216/2003, direttiva 2000/78/CE, Convenzione ONU) impongono misure che evitino situazioni discriminatorie. Perché rifiutare tali misure può invalidare un licenziamento.Le conseguenze pratiche della decisione
La Cassazione annulla la parte di sentenza in cui non si è valutato il dovere di agevolare il rientro del disabile, e rinvia la causa alla corte di appello di Firenze. Lì si verificherà se il rifiuto del lavoratore sia stato giustificato dalla mancanza di soluzioni adeguate.La tutela del lavoratore disabile
Il riconoscimento che, in assenza di adattamenti ragionevoli, il rifiuto del disabile di riprendere servizio può essere legittimo. Quali sono i riflessi su future controversie lavorative riguardanti persone con gravi disabilità.
La sentenza di appello: licenziamento legittimo
La corte di appello di Bologna, in un procedimento regolato dalla legge n. 92 del 2012 (“legge Fornero”), ha confermato la sentenza del tribunale che aveva ritenuto legittimo il licenziamento intimato dalla società RE. Spa a un suo dipendente. Secondo i giudici di merito, la condotta del lavoratore è stata considerata assenza ingiustificata dal 20 luglio 2020 al 25 agosto 2020.
Il tribunale aveva osservato che:
Il dipendente aveva superato il “periodo di comporto” (lungo periodo di malattia);
Gli era stata concessa un’aspettativa non retribuita (art. 51 CCNL di settore);
Alla scadenza dell’aspettativa, la società gli aveva chiesto di riprendere servizio nella precedente sede (G);
Il dipendente aveva inviato un primo rifiuto motivato, poi non aveva risposto a due ulteriori inviti.